Mentre il mondo stava a guardare by Silvana Arbia

Mentre il mondo stava a guardare by Silvana Arbia

autore:Silvana Arbia [Arbia, Silvana]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


IX

Lo «tsunami» su Butare

Dall’8 aprile al 14 luglio 1994 il consiglio dei ministri si riunì in diverse località del paese, oltre a Kigali, Gitarama e Gisenyi. Durante questi incontri il governo veniva regolarmente informato sull’andamento dei massacri dalle autorità militari e dai leader dell’Interahamwe. Spesso i ministri approfittavano dell’occasione per chiedere rifornimenti di armi per le proprie prefetture d’origine e non di rado poi provvedevano di persona alla loro distribuzione. Naturalmente sapevano molto bene l’uso che ne sarebbe stato fatto. Oltre alle armi, per tutta la primavera del 1994 il governo provvisorio fornì assistenza a sindaci e prefetti dando loro indicazioni, istruzioni e orientamenti strategici, tutto quanto potesse servire a sterminare i «nemici» tutsi.

Il 25 maggio vennero stabilite le linee guida di un programma di «autodifesa civile» mirato a legalizzare da un lato la distribuzione di armi alle milizie, dall’altro a legittimare l’uccisione di civili. Per «autodifesa», infatti, s’intendeva in realtà l’aggressione indiscriminata a parte della popolazione inerme, uomini, donne, vecchi e bambini, considerati pericolosissimi nemici da abbattere per il solo motivo di essere tutsi. Questo piano stabilì che per decisione ministeriale alcuni ufficiali militari potevano essere incaricati di istituire in ogni prefettura dei comitati appunto di «autodifesa».

A partire dall’aprile 1994, per i circa tre mesi di genocidio programmato, l’incitamento all’odio e alla violenza da parte delle autorità pubbliche non fece che crescere. Il governo provvisorio coniò un nuovo allettante nome per lo sterminio. Lo chiamò «campagna di pacificazione» e inviò ancora una volta i suoi ministri, ciascuno nelle prefetture dove esercitavano la propria influenza politica, per promuoverla e organizzarla sul territorio. Mai questo termine è stato usato in modo così cinico. Nelle intenzioni dei suoi ideatori, ovviamente, la «pacificazione» non prevedeva altro che l’eliminazione totale dei tutsi e di chiunque li avesse aiutati, difesi o nascosti. Il ministro Pauline Nyaramasuhuko, che aveva partecipato in prima fila a tutte quelle riunioni strategiche, si occupò con zelo di «pacificare» la prefettura di Butare, la sua regione d’origine.

Ministri, prefetti, sindaci, consiglieri comunali, capi amministrativi, sacerdoti, che avrebbero dovuto vegliare sulla vita dei propri compatrioti senza fare distinzioni, li consegnarono ai loro carnefici. E anche questo avvenne in modo premeditato. La tattica era sempre e ovunque la stessa. Politici locali, militari e miliziani identificavano luoghi di ritrovo abbastanza capienti dove poter concentrare il più alto numero possibile di rifugiati, fingevano di voler dare loro protezione e, quando questi ormai si sentivano in salvo, li facevano massacrare. Il «lavoro» sporco di solito lo facevano gli interahamwe, mentre i militari delle FAR impedivano alle vittime di fuggire facilitando la carneficina. E non si limitavano a uccidere. Prima stupravano, seviziavano, torturavano, si abbandonavano a ogni gesto più efferato nell’assoluta certezza che sarebbero rimasti impuniti. Anche in Butare, dove lo sterminio si scatenò più tardi che altrove. Anzi, proprio a causa di quell’iniziale impasse, come venne appurato nel corso delle indagini per il processo, dal momento in cui prese il via, in proporzione fece ancora più vittime. Situato nella zona sudoccidentale del Ruanda, nel 1994 era una regione molto popolosa.



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